Storia della cattedrale

La nascita della cattedrale

La Cattedrale, dedicata all’Assunta, nella sua forma attuale, è il frutto di lunghe e travagliate sessioni costruttive iniziate nel XII e conclusesi verso la metà del XIII secolo.
In mancanza di documenti cartacei che fissino nel tempo la nascita e la paternità dell’edificio, è possibile risalire all’epoca della sua costruzione, leggendo tutto il palinsesto che è di fronte a noi.
Seguendo un’antica tradizione e ricordando quanto scrive l’Ughelli nella sua Italia Sacra e interpretando una lapide conservata in cattedrale nella cappella del Santissimo (un tempo coro di notte), è stata formulata un’ipotesi abbastanza plausibile.
In seguito alla distruzione completa della città ruvese e della sua prima cattedrale a causa di eventi bellici della metà del XII secolo, il Conte di Loretello e Conversano, nonché Signore di Ruvo, Roberto II di Bassaville insieme al vescovo Daniele, si impegnarono nella edificazione della nuova Cattedrale: quella che è giunta sino a noi.
La conclusione di lavori si ebbe all’inizio del XIII secolo, come dimostra il fatto che alla morte del vescovo Daniele, dopo il 1183, la sua salma venne deposta nella chiesa della SS. Trinità, sita vicino la Cattedrale, non essendo stata questa ancora ultimata.

Le trasformazioni di età moderna

La Cattedrale subisce importanti trasformazioni e cambiamenti anche in Età Moderna.
Le indagini e gli studi condotti sul monumento si basano sul confronto tra fabbrica e fonti documentarie: fra queste assumono un ruolo importante le relationes ad Limina Apostolorum. In particolar modo dalle prime quattro relazioni delle visite ad Limina compilate dal Vescovo minorita Fra Gaspare Pasquali, si deduce che nel 1589 la Cattedrale contava oltre all’altare maggiore, ben dodici altari laterali che successivamente vennero aumentati a quattordici. I dodici altari potevano essere collocati contro i muri d’ambito delle navatelle, in corrispondenza dei cinque fornici delle rispettive campate e delle due absidiole; a questi si aggiunsero altri due altari, forse collocati simmetricamente sulle due pareti del transetto a nord e a sud. Come si può evincere, la chiesa segue l’andamento di una pianta basilicale a croce latina a cui si aggiungeva la sagrestia, attestata lungo la parete settentrionale del transetto.

Pur esistendo la sagrestia e l’adiacente episcopio, di cui si ha notizia sin dal 1452, alla fine del XVI secolo alla Cattedrale non era stata aggregata alcuna cappella; tuttavia sin dal 1593, si ha notizia di una confraternita del Santissimo Sacramento che assiste gli infermi associati a tale sodalizio; della edificazione di una cappella dedicata al Santissimo Sacramento si avrà notizia solo nel 1640 durante l’episcopato di Cristoforo Memmolo, nominato vescovo nel 1621. Da quanto ricostruibile dai segni lasciati sulla fabbrica e confrontati con le scarne informazioni delle fonti, è probabile che sino al 1640 la Cattedrale di Ruvo fosse affiancata sul lato della navatella sinistra, dalla sagrestia e dalle cappelle di S. Biagio e del SS. Sacramento, mentre alla navatella destra non era ancora stato aggiunto alcun corpo. La facciata della cattedrale doveva presentarsi più stretta dell’attuale, rimanendo definita dagli allineamenti originari dei muri perimetrali delle navate laterali.
I successori di Cristoforo Memmolo si trovarono a fronteggiare un periodo difficile, minato dalle frequenti tensioni con il potere laico: in Cattedrale fu demolito l’altare maggiore e sostituito con il trono di Ettore Carafa, duca di Andria e signore di Ruvo. Fortunatamente nel 1697 si dotò la Cattedrale di un nuovo e sfarzoso altare. Nel 1725 il vescovo Bartolomeo Gambadoro fece demolire l’antico Episcopio che fu ricostruito dalle fondamenta, ampliato e dotato di maggiori possibilità di alloggio. Tale edificio fu poi sostituito dall’attuale palazzo vescovile, realizzato nel 1925 su progetto dell’ing. L. Sylos.
In facciata, in corrispondenza degli archetti pensili del saliente di destra vi è una lapide che ricorda la realizzazione dei lavori per l’ampliamento della fabbrica, voluto dal vescovo Giulio de Turris nel 1749. Egli nella sua “visita ad limina” del 1744 poté ben dire che “la Chiesa Cattedrale dedicata alla Vergine Assunta, una volta di mediocre struttura, sotto il mio presulato è ormai splendente in forme più eleganti”, riferendosi naturalmente alla costruzione di nuove cappelle e al restauro di quelle già esistenti, tra cui quella di S. Biagio e del SS. Sacramento, collocate lungo la navata sinistra. L’edificazione di nuove cappelle comportò non solo uno sforzo finanziario da parte del vescovo, ma anche la soluzione di un problema di immagine. Le nuove cappelle, infatti, non avrebbero potuto che collocarsi lungo il fianco destro della fabbrica, rimasto privo di aggregazioni. La realizzazione delle nuove cappelle richiedeva una soluzione anche per le aggiunte sul lato sinistro. Lo spazio disordinato, occupato fino allora dalla Cattedrale e dalle sue aggiunte doveva diventare una piazza conclusa dall’edificio più significativo per la collettività, nel 1744 la facciata fu quindi allungata di 2,40 metri per lato.
I lavori di ampliamento della chiesa, conclusi poco prima della morte di Mons. De Turris (1759), consegnarono al popolo ruvestino una Cattedrale caratterizzata da numerose aggregazioni: lungo la navata sinistra vi erano il coro di notte, la Cappella del Crocifisso, di S. Biagio, del SS. Sacramento (detto “Cappellone”) e di S. Lorenzo; lungo la navata destra a partire dall’ingresso vi erano le cappelle dedicate all’Addolorata, ai SS. Medici, alla Madonna di Costantinopoli, a S. Michele e alla Madonna di Pompei. Attualmente, nell’intercapedine da cui si accede all’ipogeo, si leggono ancora le tracce superstiti della decorazione delle cinque cappelle del fianco destro.
Inoltre al 1749 risalgono il controsoffitto ligneo decorato e tre tele di Luca Alvese. I lavori condotti durante il presulato di Mons. De Turris diedero alla Cattedrale una nuova facies in linea con quella corrente tardo barocca che nella seconda metà del XVIII secolo informò di sé l’interno di molti edifici medievali pugliesi.

I restauri del '900

La successiva riabilitazione del Medioevo condusse alla stagione dei restauri di ripristino,
che tra gli anni Quaranta e Cinquanta del 1900, interessarono tutte le maggiori chiese pugliesi.
I restauri eseguiti tra il 1901 e il 1925 coinvolsero il duomo di Ruvo in modo marginale: le strutture murarie erano state toccate solo al fine di demolire le fabbriche che, nel tempo, vi si erano addossate, limitatamente all’esterno della zona absidale, ove si collocava il vecchio Palazzo Vescovile. All’interno, invece, le sole modifiche apportate, avevano riguardato il rilassamento del livello pavimentale, la costruzione del nuovo ciborio, realizzato sul modello di quello della Basilica di San Nicola a Bari, e l’apposizione di una vetrata policroma raffigurante “l’Immacolata” a schermatura della finestra dell’abside centrale: questi lavori furono condotti su progetto dell’architetto Ettore Bernik (1850-1914), inviato a Ruvo sul finire del XIX secolo (1897-’98) dalla Soprintendenza ai Monumenti. Contemporaneamente si era abbassata anche la quota del sagrato esterno che aveva permesso il riaffioraredell’;originario piano basamentale della facciata e il riemergere dei telamoni sottostanti i leoni stilofori ai lati del portale centrale.

Il desiderio di riportare la Cattedrale alla sua originaria veste romanico-gotica portò alla rimozione del controsoffitto ligneo settecentesco e
alla demolizione di tutte le cappelle di entrambe i lati della Cattedrale, l’ultima cappella ad essere distrutta fu quella del SS. Sacramento (1935). Alla
demolizione del cosiddetto “Cappellone” e delle altre cappelle, seguì la costruzione dei muri perimetrali delle navatelle; quello di sinistra fu
costruito subito dopo la demolizione del Cappellone, ma si deformò e crollò nel 1942, trascinando le volte delle prime due campate; la ricostruzione di questo
muro suggerì la soluzione simmetrica per cui furono eliminate le cinque cappelle di destra e, lasciando il muro di fondo di queste, si costruì quello perimetrale
della navatella di destra, determinando in tal modo il vano dell’intercapedine da cui si accede all’ipogeo.
Se ne ottenne un’immagine ricomposta della spazialità interna, priva delle superfetazioni controriformistiche, in cui il reintegro delle semicolonne della
navatella destra, eliminate per potervi aprire gli archi delle Cappelle laterali, si poneva in continuità formale con le colonne della navata maggiore,
per l’uso della stessa base, in distacco netto con le stesse, mediante differente lavorazione superficiale dei capitelli. Con questo restauro si chiude
il periodo dei grandi lavori alla Cattedrale, da cui ne deriva l’immagine attuale del monumento a noi consegnata.