Simbologia

Il rosone

Il rosone, vale a dire l’elemento circolare con motivi raggianti, in genere in marmo, collocato al centro della facciata delle cattedrali per dare luce alla navata centrale, è adottato già dall’architettura romanica, ma è solo in quella gotica che ne vengono sfruttate al massimo le potenzialità espressive e simboliche. Alla riproduzione stilizzata del “rosone”, si associa quella del Sole, la “ruota di fuoco”che segna per gli uomini i tempi ciclici della vita, nell’ordine immutabile del cosmo.Nel caso del rosone del duomo di Ruvo, esso consta di dodici petali, riferibili ai dodici apostoli o alle dodici tribù di Israele, ma soprattutto essi possono essere associati ai dodici mesi dell’anno. Come il sole, rappresentato dal rosone, determina il succedersi dei mesi e delle stagioni e quindi la realizzazione di specifici lavori dell’uomo, in particolar modo agricoli (es. semina, raccolta, mietitura, potatura, vendemmia), così Dio, Signore dell’Universo, scandisce e determina il destino e l’esistenza dell’uomo. Quindi il rosone, anche per la sua forma circolare, finisce per essere simbolo e rappresentazione dell’Essere Perfettissimo: Dio, che è garanzia di conservazione dell’equilibrio del cosmo. Inoltre nell’iconografia cristiana, la “rosa” con tutti i suoi petali aperti, è anche coppa e da ciò è inevitabile il suo collegamento con il Graal, la coppa in cui venne raccolto il sangue di Cristo.

Il leone

Nella sua simbologia ambivalente il leone è rappresentato più volte nella Cattedrale ruvese: ora sottoforma di protomi leonine ai lati della misteriosa figura del “sedente” o più giù ai lati del rosone, ora nella veste di leoni stilofori a guardia del portale centrale. Lo incontriamo ancora all’esterno, sottoforma di mensole zoomorfe collocate lungo il fianco meridionale e lungo i salienti della facciata. All’interno del duomo, sul capitello del secondo pilastro cruciforme a destra (partendo dal transetto) incontriamo due leoni rampanti in posa araldica, colti nell’atto di atterrare una preda. Simbolo dell’evangelista Marco, il leone è considerato da sempre come il re degli animali e la sua forza può essere associata al coraggio e alla crudeltà, al bene e al male. Il portale centrale della Cattedrale di Ruvo è fiancheggiato da due colonne rette da due leoni stilofori, i cosiddetti “guardiani o custodi” della porta della chiesa che vigilano per impedire che le forze del male penetrino al suo interno. Il leone aveva la medesima funzione già presso gli antichi Romani che lo ponevano al di sopra dei sarcofagi al fine di allontanare i profanatori; leoni di granito montavano la guardia a Micene o dinanzi ai templi indiani. Il ruolo di “vigile” deriva dall’abitudine dell’animale, descritta nel Physiologus (opera greca – II sec. a.C.), di dormire con gli occhi aperti. Nell’arte cristiana e nei bestiari medievali, tale caratteristica fisiologica ha fatto del leone il simbolo della Resurrezione di Cristo, il quale sembrò addormentarsi nella morte ma dopo tre giorni resuscitò, proprio come il leone che sembra dormire, in realtà vigila perennemente. Gli antichi credevano inoltre che esso non si avventava mai sulla preda se non spinto da un eccezionale bisogno di nutrirsi e che, anche in questo caso, non spiccava il balzo sull’avversario prima che fosse iniziato il combattimento. Queste caratteristiche comportamentali spingono l’arte medievale a fare del leone il simbolo della giustizia. È noto infatti che in età medievale le cause di giurisdizione civile ed ecclesiastica venivano discusse e risolte sui sagrati delle chiese, dinanzi ai portali incorniciati da leoni di pietra; i giudizi venivano formulati ed emessi secondo la nota formula inter leones et coram populi, cioè tra i leoni e il popolo assemblato. Come abbiamo già detto il leone è anche un simbolo negativo, infatti S. Pietro in una sua epistola afferma: “Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede.” (1 Pt 5,8-9)

Il grifo

Collocati al di sopra delle colonnine ai lati del portale centrale della Cattedrale, i due grifi rientrano nella schiera delle creature mitologiche, frutto dell’invenzione e della fantasia dei bestiari medievali. In realtà, prima di approdare sulle sponde della cristianità, il grifo, uccello favoloso e biforme è presente già da venti secoli prima di Cristo nell’arte assira, caldea, babilonese e persiana. Già nel V secolo a.C. Ctesia, medico di Artaserse re di Persia, credette alla reale esistenza del grifo e lo descrisse come un uccello quadrupede con il corpo di lupo coperto di nere piume sul dorso e rosse sul petto. La convinzione poi che il suo mito abbia avuto origine nell’antica Grecia e di qui trasmigrato in Asia attraverso l’arte cipriota e micenea, trova conforto nel fatto che a Micene, nel palazzo di Cnosso, furono rinvenuti affreschi raffiguranti due grifi riposanti tra gigli. A Cnosso i grifi erano i guardiani del trono, il loro ruolo simbolico pertanto non poteva che essere positivo.

In ogni caso, qualunque variazione simbolica abbia subito il grifo nelle civiltà primitive, la sua simbologia si muove nell’alveo tracciato dall’aquila e dal leone, dal momento che il grifo ha corpo e zampe leonine e ali e testa aquiline. In Grecia e a Roma, esso è conosciuto come guardiano delle tombe e come animale consacrato ad Apollo, quindi simboleggiava l’ispirazione poetica che portava lontano lo spirito dalla volgarità del mondo. Tale ispirazione traeva motivo dal busto aquilino; la volgarità del mondo era associata invece all’altra metà del corpo di leone. Nell’arte cristiana medievale, il simbolismo del grifone si precisa in relazione alla leggenda dell’Ascensione di Alessandro Magno, il quale venne portato in cielo da due grifi. Tale episodio, rappresentato frequentemente nel XII secolo nelle chiese italiane, fu interpretato come immagine dell’anima che vola verso Dio, guidata dal grifo, qui in veste di trasportatore di anime. Gli animali che portano le anime in cielo sono per il pensiero cristiano medievale il simbolo di Cristo, che dopo aver effuso il suo sangue per la salvezza degli uomini, porta in cielo il nostro spirito.
Secondo Riccardo di San Vittore, il grifone sintesi di due nature animali, l’aquilina e la leonina, racchiude la doppia natura di Cristo: divina (aquila) e umana (leone). Inoltre la bestia fantastica partecipa delle due regalità di Cristo, re del Cielo e della Terra. Per i mistici medievali il leone, re della terra e l’aquila, regina del cielo trasferiscono le loro corone al grifone che racchiude in sé le due nature sovrane. Quindi il grifo è personificazione stessa di Dio, vero sovrano del Cielo e della Terra.

La sfinge

Collocata all’apice del saliente sinistro della facciata, la sfinge rappresentava nell’antico Egitto non un dio o una dea, bensì un genio religioso, intermediario tra l’uomo e le potenze superiori. Nata sulle rive del Nilo dove gli artisti la rivestirono di ieratica bellezza, la sfinge fece il giro del bacino del Mediterraneo fino in Asia Minore e da lì in Grecia e poi in Sicilia. La si trova dappertutto sotto aspetti e posizioni diverse: seduta, coricata, in piedi o in atto di spiccare il volo verso il sole. In Egitto aveva busto maschile e corpo di leone mentre in Grecia fu nota con busto di donna. Divinità solare presso gli Egizi, la sfinge fu il simbolo della sovranità, della forza divina e dell’abbondanza, in virtù delle quali, il suo culto fu favorito dallo scettro dei faraoni. Se la sfinge egiziana era detentrice dei misteri del mondo visibile e invisibile, la sfinge greca custodiva l’enigma, segreto di suprema saggezza per la condotta della vita umana, com’è noto nell’Edipo re di Sofocle. Trasmigrando nella religione cristiana, la sfinge, che già in Egitto aveva simboleggiato la luce del sole, venne associata a Gesù Cristo, luce eterna per i vivi e per i morti. I bestiari medievali la adottano come simbolo positivo, in quanto rappresentazione di Dio, il quale racchiudeva in sé l’Assoluto, La Verità e l’Unità, proprio come la sfinge egiziana. Come questa, Cristo è il detentore e il possessore degli eterni segreti per aver donato agli uomini la perfetta dottrina e la regola della sicura saggezza, necessaria alla salvezza delle loro anime.

L'agnello

È un simbolo che appartiene alla cultura paleocristiana e che nella scultura medievale mantiene il suo significato cristologico di vittima sacrificale. Al trionfo del male si oppone l’innocenza dell’agnello, quindi del Cristo che si offre in volontario olocausto come agnello sgozzato per riscattare i peccati del mondo. Vittima espiatoria e propiziatoria, il mite animale ha assunto il primo posto tra i simboli del Cristo, il quale sceglie di sacrificarsi per salvare l’umanità peccatrice. La sua pregnanza simbolica si esplicita in alcuni libri della Bibbia come la Genesi, nelle profezie di Isaia (53,7)e Geremia e nei Vangeli (Giovanni 1,29; 1,36). Nel duomo ruvese, l’agnello con la croce, rappresentato al centro del secondo arco interno del portale centrale rimanda all’ultimo libro della Bibbia: l’Apocalisse (7,9-17; 14,1).

Il toro

Rappresentato sul secondo arco interno del portale centrale della Cattedrale, il toro viene interpretato come il simbolo di S. Luca. In realtà, prima di giungere sulle rive del mare magnum della simbologia cristiana, il toro è stato oggetto dei culti più disparati nell’ambito delle pratiche religiose dell’antico Egitto, in quelle assiro-babilonesi e nell’antica Grecia. Universalmente considerato come simbolo della fecondità nei tempi antichi, la testa del toro nell’antico Egitto fu soggetta a trattamenti particolari durante i riti sacrificali, in virtù dell’assimilazione simbolica tra la disposizione delle corna e la luna crescente che assume la forma di falcetto durante il suo “quarto”. Nell’antica Grecia all’animale immolato furono attribuiti poteri di purificazione e di propiziazione così particolari che questo sacrificio assunse la forma di una liturgia sacra, una specie di battesimo del sangue.
Vittima di sacrifici espiatori e di propiziazione nell’antico mondo ebraico, l’effusione rituale del sangue taurino fu sostituita nella Cristianità al sacrificio misterioso del Corpo e del Sangue di Cristo sull’altare. L’olocausto di animali come l’agnello, il capretto, il vitello e soprattutto il toro, è stato accolto come simbolo del Salvatore immolatosi sul Golgota, per ricongiungere l’uomo a Dio.

L'aquila

Collocata al di sopra dell’archivolto del portale centrale, l’aquila è presente nella simbologia e nella cultura di numerosi popoli. Nella religione indiana era simbolo di Vishnou, nell’arte caldea è il nobile uccello che accompagna il re nelle sue rappresentazioni, mentre in Siria, in particolar modo sui monumenti funerari, l’aquila svolge la funzione di animale psicopompo che accompagnava le anime dei morti verso la loro dimora celeste. In Grecia e a Roma l’aquila divenne l’attributo di Zeus e quindi simbolo di regalità, infatti l’apoteosi dei Cesari veniva celebrata con il volo delle aquile. Il ruolo di conduttore di anime verso gli dei del cielo che i culti asiatici e mediterranei avevano assegnato all’aquila, trasmigrò nella religione cristiana, dove Cristo, proprio come l’aquila, aprendo alle anime le porte del cielo con l’effusione della sua Grazia, le eleva verso Dio. La simbologia cristiana medievale ha poi associato il volo dell’aquila all’Ascensione di Cristo, il quale una volta morto, è asceso al Padre. Inoltre nella Historia Naturalis di Plinio si legge che l’aquila è l’unico volatile capace di fissare per lungo tempo ed intensamente il sole e che per provare la legittimità dei suoi piccoli, li espone alla luce accecante dei suoi raggi. I piccoli che riescono a sopportare la luce, sono riconosciuti come vera prole e pertanto nutriti, gli altri invece che battono le palpebre e distolgono lo sguardo dai raggi solari, sono rinnegati e cacciati dal nido. Nel medioevo Onorio di Autun nel suo Speculum Ecclesiae ha fatto tesoro di questa leggenda, associando l’aquila al Crito-Giudice del Giudizio Universale. Cristo, infatti, riserverà il nido, ciò il Paradiso solo ai giusti e getterà nell’inferno i malvagi che si sono mostrati indegni del suo amore. Tra i suoi vari e molteplici significati, l’aquila è considerata anche simbolo dell’evangelista Giovanni. È il caso dell’aquila rappresentata sul secondo arco interno del portale centrale della Cattedrale.