STORIA DEI RINVENIMENTI AL DI SOTTO DELLA CATTEDRALE

Tra i vari interventi succedutisi nel tempo, quello eseguito nel 1935, durante il quale si ebbe la demolizione della Cappella del SS. Sacramento, comportò l’abbassamento della quota di calpestio del transetto e delle navate. Questi ultimi furono pavimentati con “quadrelle di pietra di 0,35 cm per lato”, per le navatelle si reimpiegarono le lastre preesistenti che vennero quindi disposte perpendicolarmente all’asse longitudinale delle singole navate laterali. Nonostante la rinnovata pavimentazione, il piano di calpestio risultava molto umido e quasi bagnato; comparivano ampie chiazze umide discontinue che, per la posizione in cui erano dislocate e per l’intensità, non potevano che essere determinate da una differente densità della massa sottostante.
Le varie indagini preliminari condotte sulla topografia e la stratigrafia della città tra il dicembre 1974 e il giugno 1975 davano adito a delle ipotesi suggestive sull’impianto della Cattedrale. Era necessario riesaminare la successione degli strati e dei relativi livelli, proponendo dei saggi per documentare l’esistenza di una eventuale cripta – di cui erano venute alla luce due monofore dopo i lavori di sistemazione del 1925 – o di altre preesistenze.
Malgrado l’immediata rispondenza tra previsioni e primi rinvenimenti, l’andamento dei lavori fu condizionato dalle lente erogazioni dei finanziamenti, dalle sospensioni, dai rinvenimenti e dalla loro successiva sistemazione. Il progetto prevedeva due zone per l’inizio delle indagini: una nella navatella destra in corrispondenza del dislivello tra il calpestio del transetto ed il piano delle navate, l’altro in corrispondenza della zona centrale della seconda campata della navata sinistra. L’intervento nel sottosuolo ha rivelato che la Cattedrale venne costruita sulle macerie di un’area frequentata sin dalla protostoria e che, nascoste dal pavimento moderno, giacevano numerose testimonianze del periodo peuceta, della città romana e medievale, intercettate e rese spesso illeggibili dai grandi contenitori di pietra che servirono per la sepoltura degli affiliati alle Confraternite a partire dall’età della Controriforma e fino al XX secolo. L’indagine è partita proprio dall’esplorazione di queste tombe che avevano invaso l’area della chiesa secondo criteri di funzionalità. Tali sepolture, coperte con volta a botte, erano raggiungibili attraverso scale e botole, coperte a loro volta da lastre talora di reimpiego. Le camere tombali hanno restituito un campionario di crocifissi, monete, medaglie, anelli, braccialetti, vaghi di collana, spilloni, chiavi, fibule. La costruzione di queste fosse distrusse quindi il tessuto antico laddove impediva la realizzazione degli invasi, utilizzando o soltanto conservando alcune delle murature preesistenti.

Ipogeo

Entrato nell’ipogeo e girando a destra, il visitatore proseguirà in avanti, incontrando in fondo a destra una parete costruita negli anni Quaranta del ‘900 per obliterare le cappelle barocche. Al di là di tale parete vi è una tomba peuceta già violata in antico. Nella stessa area è evidente una conduttura successivamente tagliata. La parete di questo canale è stata riutilizzata, dopo opportuna scalpellatura, come sponda di un’altra tomba, lunga 160 cm e avente come piano di fondo la roccia. La tomba ha restituito un corredo funerario poco consistente, caratterizzato dalla presenza di vasi acromi frammentari, con l’unica eccezione di un piatto decorato con motivi lineari pertinente alla ceramica geometrica peucezia. Le forme dei vasi ritrovati sono quelle tipiche della produzione apula del IV-III secolo a.C.: l’anfora, il kalathos, il piatto e la coppetta, frequenti nei corredi funerari dei maggiori centri della Peucezia.
Secondo Raffaella Cassano, questi ritrovamenti potrebbero essere pertinenti ad un insediamento del IV-III secolo a.C. che è insieme abitato e necropoli, al quale potrebbero riferirsi i resti di una fornace, riscontrata ad una quota di poco superiore ai 2 metri dal piano di calpestio della navata centrale (terza campata) della cattedrale duecentesca. Tra i materiali raccolti nell’ambito della fornace, pani di argilla cruda, frammenti ceramici minuti, combusti e illeggibili, tegolame, frammenti di vetro e ciottoli di fiume. Il tutto in un letto di cenere. Il rinvenimento della fornace rafforza l’ipotesi della presenza nella zona di officine di artigiani.

Resti di età romana

L’età romana è documentata già nella fase tardo repubblicana (I sec. a.C.), anche se solo attraverso qualche frammento di battuto pavimentale e i resti di ceramica in vernice nera, ritrovati ad una quota di 3, 96 metri dal piano di calpestio, in corrispondenza della parte destra del transetto sovrastante. Nell’area della zona sinistra del transetto fu rinvenuto un tratto di mosaico risalente all’età imperiale. Le tessere bianche e rosse che lo costituiscono, disegnano circonferenze tangenti che determinano quadrati curvilinei. Il pavimento, forse di una domus, presenta un motivo ornamentale diffuso soprattutto nel II secolo d.C. ed è confrontabile con alcuni mosaici ostiensi, ad esempio quello dell’insula delle Pareti Gialle (130 d.C.) o quello dell’insula delle Volte Dipinte (120 d.C.). ‘ da mettere in relazione al pavimento musivo anche la colonna a blocchetti squadrati che si trova nell’area della prima campata della navata sinistra. Alla quota di 2 metri al di sotto della terza campata della navata centrale fu rinvenuto un pavimento a mosaico, conservato in tre frammenti e realizzato con tessere bianche, nere e qualcuna in cotto. Il motivo decorativo è costituito da una balza floreale stilizzata, che disegna ampie volute che si concludono con un fiore cuoriforme. Il tralcio, quasi un nastro ondulato, è reso con una fila di tessere nere. Il mosaico in esame con la sua decorazione a squame-girali, risale alla prima metà del III secolo d.C. e rivela stringenti analogie con il pavimento ostiense della domus di Marte dello stesso periodo. Il manufatto ruvestino potrebbe essere pertinente ad una domus o ad una terma forse anche domestica. A queste potrebbe essere collegata la cisterna con pareti di intonaco impermeabile messa in luce in corrispondenza della navata destra sovrastante. I due tratti di pavimento musivo, entrambe di epoca imperiale, potrebbero far parte di un’unica domus, nata nel II sec. d.C. e ampliata nel III secolo; oppure potrebbe trattarsi di due costruzioni distinte, succedutesi nel tempo. In entrambe i casi siamo di fronte ad un documento della continuità di vita dell’abitato nell’età imperiale che si protrae sino alle soglie della tarda antichità.

Resti di età medievale

In corrispondenza dell’ingresso del transetto a destra furono rinvenute due tombe che hanno restituito un corredo funerario costituito da anelli, fibule e orecchini. La tomba a sinistra è stata datata tra VI e VIII secolo, mentre quella a destra ha rivelato una cronologia successiva, ma non posteriore all’XI secolo. Nella navata centrale, in particolare nella seconda, terza e quarta campata, ad una quota di 44 centimetri dall’attuale piano di calpestio, furono rinvenuti quattro frammenti di pavimento in opus tassellatum, relativi ad un edificio di culto andato distrutto. Il frammento più esteso è a grosse tessere bianche con motivi geometrici disegnati da tessere nere e rosate ed è tuttora visibile attraverso lastre in vetro, collocate al termine dei lavori di restauro nella navata centrale sovrastante. Secondo Raffaella Cassano, lo schema disegnativo e la tecnica esecutiva rimandano a numerosi esemplari riferibili a edifici pugliesi dell’XI secolo. Tale livello pavimentale si riferisce all’edificio che precedette quello duecentesco di cui lo scavo ha restituito anche altre emergenze, tra cui un sistema di sostegni, alternativamente a sezione circolare e cruciforme. Essi sono presenti ad interasse regolare nell’area della navata centrale e del transetto e sono relativi all’edificio di culto dell’XI secolo. Opportunamente incamiciata, la maggior parte dei sostegni divenne il supporto dei pilastri della Cattedrale duecentesca, i quali conservano lo stesso allineamento di quelli disattivati. I plinti dei nuovi pilastri e le camicie di quelli più antichi furono costruiti peraltro con gli spogli dell’edificio preesistente, crollato forse a causa di un terremoto, quello del 1088 o piuttosto quello del 1183, entrambe attestati dalle fonti documentarie. Ricorrenti sono infatti le tracce di affresco sui conci di reimpiego nei pilastri di fondazione della nuova chiesa. L’assonanza dei sistemi costruttivi dei due edifici e il massiccio reimpiego del materiale lapideo fanno pensare che il cantiere della Cattedrale del Duecento fu impostato a breve distanza di tempo dalla distruzione della chiesa più antica, il cui collasso a causa del terremoto può essere documentato anche dal tipo di lesioni presenti nei plinti.

Esterno

Isolata rispetto al contesto urbano, la chiesa presenta un visibile ribassamento del sagrato rispetto all’impianto viario della città. I vari rimaneggiamenti e le modifiche apportate all’edificio religioso tra XVI e XVIII secolo non sono stati tali da cancellarne l’originaria veste romanico gotica. Tipicamente romanica è la facciata, caratterizzata nella parte inferiore da tre portali, opera di maestranze locali, di cui quelli laterali sono sicuramente di rempiego. Di grande pregio è il portale centrale, fiancheggiato da due colonnine sormontate da grifi e rette da leoni stilofori, a loro volta sostenuti da telamoni, la cui plasticità si riscontra anche nei personaggi religiosi che affollano l’arco più esterno del portale centrale. In particolar modo al centro dell’arco troviamo Gesù affiancato prima da due pellegrini, provvisti di ramoscelli d’ulivo e poi dalla Madonna e da S. Giovanni Battista, verso di loro convergono sia le creature angeliche, sia i dodici apostoli collocati nel sottarco. Nel secondo arco del portale troneggia l’effige dell’agnello dell’Apocalisse, fiancheggiata dai simboli dei quattro Evangelisti: a sinistra troviamo prima l’Angelo (S. Matteo), poi il Leone (S. Marco), mentre a destra troviamo prima l’Aquila (S. Giovanni), poi il Toro Alato (S. Luca). Al centro del terzo arco interno, in corrispondenza dell’Agnello, due pavoni affrontati , sono rappresentati nell’atto di beccare un grappolo d’uva. Tale tema iconografico simboleggia l’Eucarestia. Prima di giungere nella parte superiore della facciata, la nostra attenzione viene attratta prima dal piccolo rosone centrale, finemente traforato e circondato da creature demoniache e angeliche, poi dalla bifora, la cui lunetta viene ravvivata da un S. Michele Arcangelo, colto nell’atto di calpestare il serpente. I numerosi archetti pensili sostenuti da minuscole mensole aventi sembianze umane, zoomorfe e fitomorfe fanno da pendant tra la parte inferiore e quella superiore della facciata. Usando gli archetti come degli immaginari scalini, si giunge nei pressi del gigantesco rosone – terminato in epoca cinquecentesca – sormontato da una nicchia dov’è collocato un misterioso personaggio seduto, difficile da identificare. L’enigmatica figura del sedente rappresenta il finanziatore della chiesa. Il sedente ha un elmetto tondo che gli copre a guscio la testa e indossa una tunica ampia, stretta in vita con una cintura; è seduto su di un seggio e regge sulle ginocchia un elemento orizzontale, ormai frammentario, una sorta di supporto sul quale doveva essere fissato un ipotetico modellino del duomo, nell’atto di essere offerto alla comunità ruvese. Il sedente potrebbe essere una autorità civile o militare: varie circostanze fanno pensare che si tratti di Roberto II di Bassavilla, Conte di Conversano e Loretello e Signore di Ruvo, figlio di Roberto I di Bassavilla e cugino del re normanno Guglielmo I il Malo. La facciata culmina con la statua di Gesù Risorto che regge una bandiera segna vento.

Interno

La chiesa, impostata su pianta a croce latina, presenta un corpo longitudinale articolato in tre navate, terminanti con tre absidi collocate nella zona del transetto. Mentre la navata centrale e il transetto sono caratterizzati da una copertura a capriate, costituita cioè da travi lignee, le due navatelle hanno una copertura con volta a crociera. La navata centrale risulta separata dalle navate laterali da un sistema di pilastri cruciformi. Si può notare come i pilastri della navata destra, sebbene cruciformi, risultino più rotondeggianti e quindi di maggiore livello artistico rispetto ai pilastri di sinistra, aventi forme più squadrate. Ciò indica che la chiesa è stata edificata in due fasi. La qualità artistica dei pilastri di destra è accentuata da capitelli di ottima fattura, caratterizzati dalla rappresentazione di scene tratte non solo dall’iconografia o dalla simbologia cristiana, ma anche dalla mitologia medievale. Pietra e
scalpello si fanno così narratori di strane storie, i cui protagonisti sono animali, creature mostruose, ma anche figure umane. In particolar modo il capitello del penultimo pilastro presenta due personaggi che stanno festeggiando simbolicamente la fondazione della cattedrale. I capitelli della parte sinistra, invece, vedono il dispiegarsi e l’intrecciarsi di motivi floreali e astratti. I pilastri che circoscrivono lo spazio della navata centrale sono sormontati da una sorta di cornicione, denominato ballatoio, sostenuto da una infinita varietà di minuscole mensole aventi sembianze umane, zoomorfe e fitomorfe. La luce esterna, filtrando attraverso le bifore e le trifore valorizza la plasticità scultorea dei capitelli e delle mensole del ballatoio. La semplicità e l’austerità della struttura e degli arredi sacri mettono in evidenza l’impianto romanico gotico della chiesa. Addossate alle pareti, vi sono inoltre delle lastre in pietra raffiguranti alcuni personaggi del vescovado ruvese. Tali lastre costituivano le coperture tombali di alcune camere sepolcrali presenti nel vano sotterraneo della chiesa.